Chi pensa sia necessario filosofare, deve filosofare e chi pensa che non si debba filosofare, deve filosofare per dimostrare che non si deve filosofare; dunque si deve filosofare in ogni caso o andarsene di qui, dando l'addio alla vita, poiché tutte le altre cose sembrano essere solo chiacchiere e vaniloqui.

16.6.11

Misticismo

MISTICISMO E MISTERO

Più della fede forse, il misticismo, ha la capacità di insidiarsi negli spiriti remissivi. Le spiegazioni mistiche, hanno come fine, il distacco dalla conoscenza sensibile e la rivalutazione del proprio intelletto.
In un contesto mistico, ogni discorso o pensiero logico-colloquiale, viene sostituito da idee e pretese metafisiche.
Questo cambia metodo di valutazione: non più pensieri lineari e discorsivi, ma discontinui, a tratti sacri e inviolabili. Si abbandona l'evoluzione di scambio per l'artefatto, mutano le finalità, si crede al falso, non volendolo riconoscere come tale.
La verità invece, è che ogni racconto o spiegazione mistica, vorrebbe sembrare profonda e pulsante, quando non è nemmeno superficiale!
Ciò che è confuso perchè falso, ha bisogno di non essere capito per essere credibile.
Di norma il mistico, utilizza l'effetto sorpresa per catturare l'attenzione, narra la sua esperienza in modo vano e termina con finali affascinanti e di mistero.
Egli sa che, per rendere un racconto più realistico, deve far si che non venga mai contraddetto! e non potendosi affidare alla sua ferrea sincerità, non gli rimane che risultare incomunicabile!


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15.5.11

Felicità

SULLA FELICITà E CIò CHE NE DERIVA

La maggior parte delle dottrine e delle religioni sono condite con falsificazioni e aspirazioni di ogni tipo. Le finalità e gli scopi sono il concime di tutte le credenze: avere una missione, seguire dele regole al fine di, conseguire degli obbiettivi per, tutte impostazioni ideologiche per dar forza, e talvolta senso, alle proprie motivazioni e teorie. L'idea più influente e universalmente accettata, mi pare di capire sia quella che, l'uomo "aspira alla felità", (o che vive in funzione di questa), terrena se si sposa una dottrina filosofica, ultraterrena se ci si avvicina a un culto religioso.
Senza nulla togliere agli stati di gioia e ai suoi derivati, mi pare tuttavia un'idea grossolana e poco credibile. Mi spiego. Prendendo in considerazione l'uomo come una delle tante razze che popolano la terra, mi viene assai difficile credere che, una delle nostre finalità ultime sia il raggiungimento della felicità! quale altra razza vivrebbe in funzione di questa? quale altro essere vivente misurerebbe se stesso in funzione di quanto è felice?
Se un uomo è felice, dice che la vita è a proprio favore, se non lo è, tende a svalutarsi. Perchè? Non è un errore casuale, è la scala dei valori e dei giudizi che è stata falsata! è difficile da credere, ma sembra che sia stato tramandato un sistema errato di valutazione della propria condizione che, come effetto ultimo, smorza i caratteri forti e moralizza quelli deboli!
I modelli sociali di uomo felice e vincente, rispecchiano tutto ciò che non rende felici. E anche qual'ora qualcuno si rispecchiasse in tali modelli, non si può dire che sia felice, solo lo crederebbe.
La differenza sta nel fatto che, per noi, la felicità deriva da tutt'altro! e non è in nessun modo ricollegabile ad azioni reali o idee giuste. La nostra gioia, non conosce la vita che conduciamo, non bada alle comodità o alla ricchezza, bensì spazia tra il nostro mutare giornaliro e la ricerca continua, scava nell'oscuro e si nutre delle nostre più intime sofferenze. La nostra felicità è la fierezza di essere ciò che siamo, testardi, disinteressati e festosi nel seguire nelle nostre sofferenze!
Gli idealisti devono rassegnarsi, siamo come tutti gli altri esseri viventi: gli alberi vivono per affermarsi e crescere al meglio, così i fiori, gli arbusti e gli animali.
La felicità è la massima espressione di noi stessi. Che ne dite?

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15.1.11

Resistenza

ATTI DI RESISTENZA

Resistenza è un termine che richiama a se molteplici significati. Questi esprimono all'apparenza gli stessi concetti, ma nell'esposizione, ogni idea ruota su pensieri totalmente differenti. Comunemente resistenza è intesa come fattore di opposizione politica o di affermazione culturale, ma sempre definibile e collocabile in un preciso contesto storico. La nostra concezione di resistenza invece, va al di là dello stoicismo o degli eventi: la nostra è un'opposizione fisiologica! che non deriva da forze esterne, non si cura di guerre, ideologie o critiche situazioni economiche, la nostra è una resistenza esistenzialista, che nasce nel profondo e si sviluppa da se.
Noi siamo contro non per piacere ma per natura, la nostra esistenza è puro istinto, pura passione umana. Ci opponiamo a tutto ciò che è mediocre non per decisione presa, ma per impulso. Siamo mossi da un'impegno disinteressato e senza scopo, che ci isola e ci mostra la vera solitudine, ma allo stesso modo ci offre vedute estremamente chiare e nette.
Come il poeta è destinato a soffrire per deliziarci con i suoi versi, così noi dobbiamo soffrire per diventare ciò che siamo. A volte vorremmo dimenticarci e divenire un noi stesso ipotetico, ma non ci è consentito, nemmeno per un attimo. Siamo gli eredi di Emerson, Hesse, Nietzsche e Pasolini, orfani di un fermento emotivo antico e di una soave bellezza che non trova spazio nei giorni nostri.
Il nostro modo di essere e di imporci non ha senso, è anacronistico dal punto di vista sociale e dannoso dal punto di vista politico, perchè non giova alcuna convenienza effettiva e isola di ritorno. Ma è ciò che siamo e ciò per cui combattiamo.
Siamo come degli ipotetici distruttori, che distruggono senza una reale motivazione e senza guadagno. Sovvertiamo ogni ordine morale per ridare un giusto peso a tutte le cose, cerchiamo l'essensa sotto il non senso congedando ogni verità!
ma se qualcuno ci chiedesse che speranze abbiamo per il futuro e sull'umanità, risponderemmo nessuna..

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15.10.10

Sulla verità

RIFLESSIONI E INTRECCI DI VERITà E REALTà

La differenza che spesso emerge tra uomini semplici e uomini astuti è che i primi, pensano sia vero ciò che non viene più messo in discussione, uniformandosi tutti sotto un unico pensiero comune, i secondi, sanno che esistono verità molteplici e ponderano ogni possibilità da diverse prospettive. Quando si parla del vero, bisogna sempre tenere presente che, ogni verità è tale fino a quando non viene accantonata per dare spazio ad una nuova e più credibile: un tempo si pensava che il sole girasse in torno alla terra, ora sappiamo essere il contrario.
Le verità ideologiche cambiano quando cambia il tempo, le verità scientifiche cambiano quando cambia il meteodo di studio. Ogni credenza è vera a suo tempo, e la verità è che la verità è variabile.
Bisogna tenersi lontano da pretese di verità assolute e presunte certezze, difatti il pensiero di avere risultati imperativi, inganna l'uomo e lo fa inciampare sui propri piedi. La libertà di pensiero si basa su opinioni/sensazioni controverse, capaci di arricchire l'uomo non di ragioni, ma consapevolezze ed emozioni. In questi casi, il valore non si vede dal raggiungimento di una meta, bensì dal continuo cercare. è la curiosità che ci spinge a non accontentarci di verità fittizie, siamo troppo esigenti per arrenderci alle prime impressioni. Quando ci schieriamo, e lo facciamo, sappiamo comunque di essere nel "torto", coscienti del fatto che, l'anagramma di "la verità" è "relativa".
La verità fittizia è ancora più dannosa della classica menzogna perchè viene data per certa, di conseguenza si smette di pensare a tutto campo, per partire da un punto di partenza comune. Forse è più rassicurante, ma chi ci assicura di essere sul giusto trampolino di lancio? e sopratutto, vale la pena rischiare di vivere una vita nella bambagia del falso?
Solo la visione totale a 36o gradi offre la possibilità di esprimere un giudizio personale-veritiero non mosso da ideologie, buonismo o conformismo. Se non c'è una spiccata capacità di riflessione nel nostro interlocutore, ce ne accogiamo subito e rischiamo di non aver più stimoli nei suoi confronti. è l'irritazione alla vicinanza del pensiero comune che illumina il pensiero dell'individuo curioso, tanto da allontanarlo da movimenti politici, espressioni culturali di parte, aggregazioni e movimenti popolari in genere.
Nelle masse la verità e l'angolazione visiva deve essere una e una sola: è il creare un'idea e imporre una linea o un modello, che genera coesione-omologazione sociale e disgragazione individuale. Invece, chi gode di una forte libertà di pensiero non ha limiti di alcun tipo! spazia tra un'idea e l'altra incurante di ogni barriera e dogma-verità!
Sappiamo che ciò che accade nel mondo e in noi stessi è vero e reale, ma ogni uomo ha la sua verità, dettata dalla visione soggettiva espressa in base alle proprie capacità cognitive e sensoriali, che di per sè non ha alcun valore sociale, ma è fondamentale per la formazione e la crescita individuale.

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28.9.10

Bisogno d' infelicità

INFELICITà E SOFFERENZA COME RAGIONI D'AZIONE

Esistono alcune persone che ambiscono a soffrire. Probabilmente molte di queste, hanno bisogno di provare un certo tipo di sofferenza per darsi una motivazione plausibile e invogliarsi all'azione. Questo atteggiamento fa si che si vedano spauracchi e condizioni indegne anche laddove non ve n'è traccia, così da mostrare una ragione ancora più veritiera in favore delle "proprie" idee: soffro nel vedere i bambini morti sulla striscia di Gaza? divento un attivista pro-Palestina.
In questi individui, la visione oggettiva è sostituita dalla necessità di crearsi un nemico contro cui combattere, (in questo caso Israele) un antagonista necessario che sappia ricordare loro chi sono, e che sia capace sopratutto di farli soffrire: difatti questi, non sono alla ricerca della felicità, bensì dell'infelicità! la sola e unica capace di farli tribulare tutta la vita, allontanandoli dalla noia, dalle insicurezze e dalle solitudini dello spirito! è il bisogno di vivere tutto d'un fiato, per essere sempre contro e non fermarsi mai!
La ricerca di sofferenza e la conseguente necessità di mettersi in azione, la si può trovare in ogni tipo d'uomo: se espressa in politica è accompagnata da una buona dose di ideologia, se rivelata nel singolo, si notano convinzioni e verità di parte.
Se questi uomini, invece di strillare al mondo le loro tribulazioni, sapessero guardarsi nell'animo e cogliere la gioia di fare qualcosa per se stessi, saprebbero anche affrontare l'esistenza con una certa serenità ed esprimere i loro pensieri con una diversa armonia.
Non è di buon gusto sventolare l'infelicità altrui senza porvi un rimedio. Non basta appartenere a un gruppo che si definisce libertario per essere liberi, non serve a niente allontanarsi dalla civiltà se non la si è mai digerita.
Questi animi, non sopportando loro stessi e non avendo idee a riguardo, hanno sempre bisogno degli altri! di cattivi e oppressori di libertà! e parlano proprio loro, che di libero non hanno nulla!

13.9.10

Del lavoro

UN GIUSTO IMPEGNO PER NON ESSERE UN UOMO IMPEGNATO

Gli uomini danno valore al singolo in base al suo stato sociale. Questi credono siano giuste quelle virtù, che non mostrano gli effetti e gli sviluppi su noi stessi, bensì che risaltano, ciò che si pensa l'uomo sia chiamato a fare in società. L'educazione attuale, mira a rafforzare l'uomo "produttivo" piuttosto che l'uomo in sè, come se volesse prevenire o cancellare pensieri diversi: sentimenti di conservazione e sviluppo personale ai danni di una "giusta" devozione sociale. L'educazione attuale ha il compito di incanalare l'uomo verso un certo modo di pensare e agire, così da preservare il continuo sviluppo del "bene collettivo", ma l'evoluzione sociale non serve a niente se non è accompagnata da un'evoluzione di pensiero. Si potrebbe quasi dire che, la morale dell'uomo comune non crea il sociale, bensì l'antisocialità del socialismo..
Si stimano certi industriali per il semplice fatto che producono lavoro, nonostante abbiano mani rozze e coscienze da maiali, si onorano i giovani che si ammazzano di lavoro, ma che mancano di freschezza e lucidità di spirito, si elogiano i così detti "brav'uomini", con mille sacrifici sulle spalle e una buona posizione e si elogiano anche quando questi rubano o corrompono.
Tutta questa baraonda fa si che, milioni di persone nel mondo siano legate dai così detti rapporti lavorativi: relazioni umane basate sul puro utilizzo, e come si usa e getta un utensile, così per il lavoratore moderno.
In presenza di morti accidentali ci si dispera, pensando che le vittime avrebbero fatto meglio a preservare se stessi, a fare più attenzione e ad affaticarsi meno, in realtà, ciò che conferisce in seguito valore ai caduti, non sono le azioni che questi hanno avuto nel corso della loro vita, bensì il fatto che si sono sacrificati per la società! essi hanno dato la vita per un "giusto" fine! e così diventano quasi degli eroi, degli idoli, li si commemora dicendo che "sono morti per compiere il loro dovere!" innalzandoli come bestie e illuminandoli come martiri della sacra società! Così da semplici vittime quali sono, si trasformano in capi ispiatori: nuovi elementi per rafforzare la morale comune, per riunirsi tutti nella nobiltà del lavoro e sposare quel cattivo pensiero secondo cui, è bene farsi consumare dal tutto, piuttosto che opporvi.
Non penso sia il lavoro in sè ad essere alienante, ciò che manca è un'etica lavorativa, una presa visione della condizione dell'uomo e della produttività. Non è il capitalismo a macinare i lavoratori moderni, bensì la volgarità con cui questi si devono relazionare giornalmente. La natura è così strana: ad alcuni conferisce la necessità dell'ozio e ad altri il bisogno di movimento. Non è un caso che alcuni possono vivere senza che qualcuno gli ricordi chi sono, mentre altri hanno il costante bisogno di affermarsi. In fin de conti la questione non è da che parte stare, perchè ognuno ha già la sua posizione, ma occuparla coscientemente..

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post vecchio pubblicato ora

9.9.10

Del presente

Come avrete notato, è passato un po' di tempo dal mio ultimo scritto, non perchè avessi abbandonato o dimenticato, bensì necessitavo di un periodo evolutivo? che portasse il me stesso più alto verso nuovi flussi, non senza criticare vecchi idealismi e presunte convinzioni. La crescita necessita di una fredda e netta visione della posizione, ed io, ancora vincolato da etica e metafisica, ero parte di uno schieramento quasi prevedibile, già passato. Il sentimento tanto semplice, quanto geniale: "io sono, non ero", illuminò quel me stesso e lo distolse dal piacere di ciondolare tra poesia e infinito, muovendolo verso un mare ancora più in tempesta, ma con una nave decisamente più robusta e libera.
La capacità di osservazione porta l'uomo a prendere le distanze da se stesso e lo predispone al cambiamento, con ferma durezza ma senza dolore: è una necessità dettata dalla conoscenza e non dalla condizione, che imprime se stessa finale nella nuova forma dell'individuo. Osservandomi con occhio critico, notai che operavo da "artista" e non da "uomo libero", nel senso che appartenevo più a un qualsivoglia periodo storico o indottrinamento metafisico/religioso, che al presente di me stesso libero da ogni vincolo e presunta verità, per quanto gioioso e libero questa potesse farmi sentire. Operando da "artista" attuavo e alimentavo un procedimento di stallo, quasi involutivo. Attribuendo un'anima alla natura, conferendo a questa una forza ideologica e considerando sacro il piacere che mi dava una poesia o la meraviglia di una sinfonia, vivevo comunque di metafisica! non che mi dispiacesse, ma è comuqnue giunto il momento di metterla in discussione! Metafisica o religione che differenza c'è?
Il mio essere "romanticista" muoveva me stesso contro chi si opponeva a una determinata visione della vita che non fosse affine idealisticamente, di conseguenza attaccavo tutto ciò che apparteneva a un'etica diversa, professando libertà che in realtà non avevo! Godendo del passato si rischia di non godere del presente e della vera libertà. L'artista, il pittore, o il poeta, con tutto il piacere che possono darci, vagheggiano comunque tra falsità e fantasia: il loro compito è di deliziarci e farci volare. Quante volte leggendo Shakespear, Emerson o Milton avreste voluto mettervi in punta di piedi e iniziare a danzare? quante volte ascoltando Corelli, Beethoven o Mozart siete stati perforati da una fitta al petto e catapultati nei migliori cieli stellati? Come la religione delizia i deboli, così le opere più belle di tutti i tempi deliziano gli uomini superiori, ma il compito di questi ultimi non è di fermarsi a questo piacere, ma di procedere verso una più ampia e libera veduta!
Si riparte da qui, con un'inaspettata irriverenza, con la voglia di non prendersi seriamente e di non credere davvero in quel che si fa, senza alcuna pretesa di verità, ma con la voglia di tutto.

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