Chi pensa sia necessario filosofare, deve filosofare e chi pensa che non si debba filosofare, deve filosofare per dimostrare che non si deve filosofare; dunque si deve filosofare in ogni caso o andarsene di qui, dando l'addio alla vita, poiché tutte le altre cose sembrano essere solo chiacchiere e vaniloqui.

28.9.10

Bisogno d' infelicità

INFELICITà E SOFFERENZA COME RAGIONI D'AZIONE

Esistono alcune persone che ambiscono a soffrire. Probabilmente molte di queste, hanno bisogno di provare un certo tipo di sofferenza per darsi una motivazione plausibile e invogliarsi all'azione. Questo atteggiamento fa si che si vedano spauracchi e condizioni indegne anche laddove non ve n'è traccia, così da mostrare una ragione ancora più veritiera in favore delle "proprie" idee: soffro nel vedere i bambini morti sulla striscia di Gaza? divento un attivista pro-Palestina.
In questi individui, la visione oggettiva è sostituita dalla necessità di crearsi un nemico contro cui combattere, (in questo caso Israele) un antagonista necessario che sappia ricordare loro chi sono, e che sia capace sopratutto di farli soffrire: difatti questi, non sono alla ricerca della felicità, bensì dell'infelicità! la sola e unica capace di farli tribulare tutta la vita, allontanandoli dalla noia, dalle insicurezze e dalle solitudini dello spirito! è il bisogno di vivere tutto d'un fiato, per essere sempre contro e non fermarsi mai!
La ricerca di sofferenza e la conseguente necessità di mettersi in azione, la si può trovare in ogni tipo d'uomo: se espressa in politica è accompagnata da una buona dose di ideologia, se rivelata nel singolo, si notano convinzioni e verità di parte.
Se questi uomini, invece di strillare al mondo le loro tribulazioni, sapessero guardarsi nell'animo e cogliere la gioia di fare qualcosa per se stessi, saprebbero anche affrontare l'esistenza con una certa serenità ed esprimere i loro pensieri con una diversa armonia.
Non è di buon gusto sventolare l'infelicità altrui senza porvi un rimedio. Non basta appartenere a un gruppo che si definisce libertario per essere liberi, non serve a niente allontanarsi dalla civiltà se non la si è mai digerita.
Questi animi, non sopportando loro stessi e non avendo idee a riguardo, hanno sempre bisogno degli altri! di cattivi e oppressori di libertà! e parlano proprio loro, che di libero non hanno nulla!

13.9.10

Del lavoro

UN GIUSTO IMPEGNO PER NON ESSERE UN UOMO IMPEGNATO

Gli uomini danno valore al singolo in base al suo stato sociale. Questi credono siano giuste quelle virtù, che non mostrano gli effetti e gli sviluppi su noi stessi, bensì che risaltano, ciò che si pensa l'uomo sia chiamato a fare in società. L'educazione attuale, mira a rafforzare l'uomo "produttivo" piuttosto che l'uomo in sè, come se volesse prevenire o cancellare pensieri diversi: sentimenti di conservazione e sviluppo personale ai danni di una "giusta" devozione sociale. L'educazione attuale ha il compito di incanalare l'uomo verso un certo modo di pensare e agire, così da preservare il continuo sviluppo del "bene collettivo", ma l'evoluzione sociale non serve a niente se non è accompagnata da un'evoluzione di pensiero. Si potrebbe quasi dire che, la morale dell'uomo comune non crea il sociale, bensì l'antisocialità del socialismo..
Si stimano certi industriali per il semplice fatto che producono lavoro, nonostante abbiano mani rozze e coscienze da maiali, si onorano i giovani che si ammazzano di lavoro, ma che mancano di freschezza e lucidità di spirito, si elogiano i così detti "brav'uomini", con mille sacrifici sulle spalle e una buona posizione e si elogiano anche quando questi rubano o corrompono.
Tutta questa baraonda fa si che, milioni di persone nel mondo siano legate dai così detti rapporti lavorativi: relazioni umane basate sul puro utilizzo, e come si usa e getta un utensile, così per il lavoratore moderno.
In presenza di morti accidentali ci si dispera, pensando che le vittime avrebbero fatto meglio a preservare se stessi, a fare più attenzione e ad affaticarsi meno, in realtà, ciò che conferisce in seguito valore ai caduti, non sono le azioni che questi hanno avuto nel corso della loro vita, bensì il fatto che si sono sacrificati per la società! essi hanno dato la vita per un "giusto" fine! e così diventano quasi degli eroi, degli idoli, li si commemora dicendo che "sono morti per compiere il loro dovere!" innalzandoli come bestie e illuminandoli come martiri della sacra società! Così da semplici vittime quali sono, si trasformano in capi ispiatori: nuovi elementi per rafforzare la morale comune, per riunirsi tutti nella nobiltà del lavoro e sposare quel cattivo pensiero secondo cui, è bene farsi consumare dal tutto, piuttosto che opporvi.
Non penso sia il lavoro in sè ad essere alienante, ciò che manca è un'etica lavorativa, una presa visione della condizione dell'uomo e della produttività. Non è il capitalismo a macinare i lavoratori moderni, bensì la volgarità con cui questi si devono relazionare giornalmente. La natura è così strana: ad alcuni conferisce la necessità dell'ozio e ad altri il bisogno di movimento. Non è un caso che alcuni possono vivere senza che qualcuno gli ricordi chi sono, mentre altri hanno il costante bisogno di affermarsi. In fin de conti la questione non è da che parte stare, perchè ognuno ha già la sua posizione, ma occuparla coscientemente..

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9.9.10

Del presente

Come avrete notato, è passato un po' di tempo dal mio ultimo scritto, non perchè avessi abbandonato o dimenticato, bensì necessitavo di un periodo evolutivo? che portasse il me stesso più alto verso nuovi flussi, non senza criticare vecchi idealismi e presunte convinzioni. La crescita necessita di una fredda e netta visione della posizione, ed io, ancora vincolato da etica e metafisica, ero parte di uno schieramento quasi prevedibile, già passato. Il sentimento tanto semplice, quanto geniale: "io sono, non ero", illuminò quel me stesso e lo distolse dal piacere di ciondolare tra poesia e infinito, muovendolo verso un mare ancora più in tempesta, ma con una nave decisamente più robusta e libera.
La capacità di osservazione porta l'uomo a prendere le distanze da se stesso e lo predispone al cambiamento, con ferma durezza ma senza dolore: è una necessità dettata dalla conoscenza e non dalla condizione, che imprime se stessa finale nella nuova forma dell'individuo. Osservandomi con occhio critico, notai che operavo da "artista" e non da "uomo libero", nel senso che appartenevo più a un qualsivoglia periodo storico o indottrinamento metafisico/religioso, che al presente di me stesso libero da ogni vincolo e presunta verità, per quanto gioioso e libero questa potesse farmi sentire. Operando da "artista" attuavo e alimentavo un procedimento di stallo, quasi involutivo. Attribuendo un'anima alla natura, conferendo a questa una forza ideologica e considerando sacro il piacere che mi dava una poesia o la meraviglia di una sinfonia, vivevo comunque di metafisica! non che mi dispiacesse, ma è comuqnue giunto il momento di metterla in discussione! Metafisica o religione che differenza c'è?
Il mio essere "romanticista" muoveva me stesso contro chi si opponeva a una determinata visione della vita che non fosse affine idealisticamente, di conseguenza attaccavo tutto ciò che apparteneva a un'etica diversa, professando libertà che in realtà non avevo! Godendo del passato si rischia di non godere del presente e della vera libertà. L'artista, il pittore, o il poeta, con tutto il piacere che possono darci, vagheggiano comunque tra falsità e fantasia: il loro compito è di deliziarci e farci volare. Quante volte leggendo Shakespear, Emerson o Milton avreste voluto mettervi in punta di piedi e iniziare a danzare? quante volte ascoltando Corelli, Beethoven o Mozart siete stati perforati da una fitta al petto e catapultati nei migliori cieli stellati? Come la religione delizia i deboli, così le opere più belle di tutti i tempi deliziano gli uomini superiori, ma il compito di questi ultimi non è di fermarsi a questo piacere, ma di procedere verso una più ampia e libera veduta!
Si riparte da qui, con un'inaspettata irriverenza, con la voglia di non prendersi seriamente e di non credere davvero in quel che si fa, senza alcuna pretesa di verità, ma con la voglia di tutto.

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